• Sottotitolo: agenti immobiliari e stile.

Da dove arriva il detto “l’abito fa il monaco”?

Tralasciando Manzoni*, visto che almeno da adulti non siamo più obbligati a leggerlo, l’origine del proverbio sta nella divisa, cioè in quel vestiario che – a colpo d’occhio – ci permette di riconoscere il monaco così come il vigile, il postino, il giudice, l’agente di borsa alla Gordon Gekko, la velina e la maestra elementare.

  • La salopette bianca con spruzzi di vernice qua e là ci fa pensare a un imbianchino; quella blu-IVECO all’operaio in catena di montaggio.
  • La dolcevita nera su pantalone di fustagno fa attore di teatro alla Carmelo Bene che recita Majakovskij e la sciarpina sotto al Panama fa subito intellettuale radical-chic.
  • Da un taglio di capelli associato a risvoltino e maglietta in stile seconda-pelle su braccia tatuate, riconosciamo un calciatore o un wanna-be tale.
  • Sopra un tacco 20 su ferro da stiro, su abito di pailettes e boa piumati, non ci immaginiamo un giudice ma più verosimilmente una drag queen.

Nel “riconoscere”, distinguiamo perché a un certo abbigliamento associamo una categoria di individui e di attitudini.

L’esperienza (e Hollywood) ci insegnano però anche a non fidarci al pronti via nemmeno di un abito impeccabile perché giornali e TV ci hanno raccontato di super-truffatori in doppio petto, così come i più svegli di noi diffidano a priori delle esagerazioni in stile Lord Brummel (e non solo per gli agenti immobiliari) che più che costruire un personaggio, a nostro parere, ne fanno una caricatura, un simil-dandy con un obiettivo preciso, che no, non è farci contenti e trovare la casa che stiamo cercando, quanto piuttosto: stupirci con effetti speciali.

Ma, salvo fenomeni border-line (ereditieri & affini), lo stile, un certo stile, è un riferimento immediato allo status e lo status è figlio del successo che a sua volta è generato dalla capacità e dai talenti.

Quando incontriamo un abito sartoriale con cravatta di Marinella e pochette nel taschino, con un parallelo immediato, capiamo di trovarci di fronte non solo a un professionista ma a uno abbastanza bravo per permettersi l’abito sartoriale, la cravatta di Marinella e anche la pochette nel taschino. In pratica uno che ha buone probabilità di avere la preparazione, le abilità e gli agganci giusti per trovare la casa che sogniamo.

Senza arrivare a Marinella e Brioni – prima linea, ovvio – e soprattutto senza cadere nelle parodie alla Cary Grant de noartri, la scelta di chi incontriamo ci racconta qualcosa del nostro interlocutore. Ci dice che ci tiene e si veste in linea con il lavoro che fa; ci dice anche che prende sul serio il suo ruolo e che ci rispetta come persone, prima che come clienti.

Viceversa, quando il professionista che arriva per proporci di comprare o vendere una casa, lo fa in infradito e hawaiana, a meno che la suddetta non si trovi alle Barbados e il professionista non sia Magnum P.I., come minimo un dubbio ci viene.

Se lui gira in infradito e noi non siamo alle Barbados, ma in piazza Duomo a Milano, Venezia, Padova o Torino, è legittimo pensare che:

  1. non ci rispetti abbastanza per mettersi un paio di scarpe;
  2. il nostro appuntamento sia una tappa del suo inter-rail.
  3. ci restino otto minuti per decidere se concludere la trattativa o meno, prima che il professionista vada a fare surf sui Navigli.

Certo, potrebbe essere così avanti e così casual (dentro) da non ritenere importante l’abbigliamento ma – ironia e paradossi a parte – la verità è che “ci fa strano”.

E “strano” e meritevole di fiducia sono due concetti che non vanno d’accordo.

Quindi, tornando alla domanda “l’abito fa il monaco”, la nostra risposta è sì, se restiamo nei limiti del buongusto ed è no, per niente, se i confini si superano.

L’eleganza non è mai eccesso, così – come diceva Chanel – non ha niente a che vedere con l’essere notati, ma tantissimo con l’essere ricordati.

*cap 19 de I promessi Sposi

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