Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai in un’agenzia oscura, 

che la locazione mia era finita. 

Ahi quanto l’affitto è cosa dura

e questo agente, sì dolce e prono,

che a ripensarci, suona già di fregatura.

Tanto greve fu il destino, che poco più è morte;

e per trattar del male ch’i’ vi trovai,

dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.

Io non so ben ridir come v’ero entrato,


ma so che di mutui ne uscii pieno, 


e di due generazioni, lo sforzo fu vanificato.

Quando sulla seggiola fui ormai seduto,

tra mille preventivi, e i quadernetti

una sensazione di paura m’avea il cor compunto:

un cravattino fesso gli pendeva giù dal collo,

la barba incolta, le unghie sporche

costui non era un professionista, com’io fui un pollo.

A quel punto ero ormai dentro: 

avevo da sentir l’offerta del giovine cordiale

e del suo capo, che di là dal vetrocemento, 

aguzzava occhio, orecchio e portafoglio,

già gustando la preliminare attesa

di quando sarei finito nel suo garbuglio. 

E come quei che con un immobile abusivo,


uscito fuor del sabbio de la riva,

si volge al periglioso vigile urbano e scruta,

così l’animo mio, che già ai creditor fuggiva


si volse innanzi l’acquisto della casa

che non lasciò mai vivo una partita iva. 

Tempo non ebbi di proferir parola

che mi furo addosso in due: di caffé,

una bibita e un cornetto, colmaronmi la gola

e di parole a vanvera, a turni alterni

iniziarono a farcire l’aria e il mio cervello

quando il tempo mi sembrò già ormai eterno.

Passaron l’ore, sempre a consigliarmi affari: 

questo era bello, questo era meglio

dovevo solo convincere i bancari.

L’occasion, a dire il vero, era ghiotta:

il costo era modesto, la posizione buona

il bilo in pieno centro fu quella galeotta.

Andammo a visionarlo, e fummo in tre.

Tre uomini stavan stretti; un paro di stanze

e un cucinino, un bagno sprovvisto di bidé;

Dissi: questa non fa al caso, mio né di alcuno

e in topaie come questa viverci

non dovrebbe mai nessuno. 

Ma tosti, loro, non mollaro: 

me ne fecero veder quasi trecento,

e infin a una dissi sì, per sfinimento. 

Tornai a casa, che non ce la facevo

bolliva il piede, fumavan le mi’ascelle,

di salire scale, più non ne potevo. 

Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,

m’avviai alla banca mia, diserta,

alla cerca di miglior tasso.

Ed ecco il cominciar de l’erta,


il direttor spropenso a prestar molto,

che il mio fido di già era scoverto;

disse sì, ma non senza garanzia,

e dissi addio al quattro quinti di stipendio;

volle che firmassi, e fui ulteriormente estorto.

Se qualcosa posso dire: ho imparato la lezione

chi ha bisogno di una casa

non ricopi la mia azione. 

I’ traslocai, e dovetti presto mettere nel conto

che il guasto all’ascensore, con meco al sesto piano

in realtà, durava da ben molto. 

Al condominio mi aspettaro per la tangente:

I frontalini andavano rifatti,

e il posto auto c’era, sì, ma in un altro continente. 

Tutto ciò detto, eppure, è una piccolezza

se ancora oggi lo confronto a quel che vi trovai:

ad impazzirmi fu quell’olezzo

di cipolla, a ogni ora, dalla sera a la mattina

e di nduja calabrese, e soppressata: 

La vicina, mamma mia, amava la cucina. 

M’accorsi, inoltre, che il panorama di autostrada non è bello,

non è comodo, tutt’altro,

se un tir si ribalta e ti sfonda nel tinello;

e il loggione chiuso, superfetto, 

senza notifica al catasto, senza condono fatto

è materiale per un fantastico sequestro.

Mentre ch’i’ rovinavo in basso proprio,


dinanzi a li occhi mi si fu offerto


la consulenza che riaccese la speranza, 

Quando vidi l’operare di costui nel cercar case,


«Miserere di me», gridai a lui,

«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».

Rispuosemi: «Non omo, Property Finder già fui,

e le case dei clienti miei

son sempre a migliorare i tempi bui.» 

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